Felice Gimondi: sono traumatizzato Bossi: è stato un grande amore popolare

Felice Gimondi: «Ha pagato tutto a troppo caro prezzo. Per quattro anni è stato sempre nell’occhio del ciclone dopo essere stato il numero uno. Sono traumatizzato, non me la sarei mai aspettata, così. Secca. Senza un segnale.... Sembrava così forte, ma il personaggio era fragile e sensibile. Aveva lasciato un segno per il ciclismo é stato tutto: con lui è tornato ad alto livello. Per le emozioni che sapeva regalare».

Umberto Bossi: «Si è fatto morire. Tanto era forte quanto era debole dal punto di vista psicologico. È un grande dolore. Incarnava il mito dell’uomo solo, la speranza degli uomini di alzarsi in volo: quando l’hanno colpito si è piegato. È stato un grande amore popolare. Mi spiace da morire».

Davide Cassani: «Perché è successo? Vorrei capirlo anch’io. Trovare le parole è impossibile, sono stato con lui nel ’97 dopo l’incidente e abbiamo passato dei momenti straordinari, ma so che adesso passava un momento difficle della sua vita, era affondato in un vortice... Sono veramente affranto. L’ho sentito per l’ultima volta un mese fa: era profondamente amareggiato, cambiato, non era più lui, era un altro uomo. Nel mondo del ciclismo qualcuno lo ha aiutato, altri no. Pantani ha avvicinato tanta gente al ciclismo. Anche oggi mi chiedevano come stava, quando tornava. Lui non era più lui, era così amareggiato. E io sono affranto».

Alberto Zaccheroni: «Sono sconvolto. Sapevo, tutti sapevamo che c’erano dei problemi, ma non immaginavo fino a questo punto. Negli ultimi mesi era difficile contattarlo, coinvolgero. L’avevamo cercato, anche col sindaco di Cesenatico, quest’estate, per una partita tra sportivi e cantanti. Avevamo provato a coinvolgerlo in questa iniziativa, ma non c’era stato niente da fare. Non lo si trovava. Pantani non rispondeva, non si faceva trovare. E questo doveva far capire che il suo problema era veramente grande. Ma per quanto fosse grande nessuno poteva immaginare che la storia di un grande uomo, di un grande campione, finisse così».

Franco Ballerini: «La notizia della morte di Marco è così sconvolgente da sembrare non vera. Negli ultimi minuti ho parlato con tante persone dell’ambiente: è come se il nostro mondo cercasse un modo per rinfrancarsi. Sono telefonate in cui l’uno rincuora l’altro. Sarà difficile trovare un altro come Marco: lui vinceva ed era personaggio. Ha entusiasmato critica e folle, i suoi successi erano show. Il lancio del cappellino, gesto che annunciava l’inizio di una azione irresistibile, anche questo mancherà di Pantani».

Mario Cipollini: «Sono sconvolto è una tragedia di proporzioni enormi. Per tutto il mondo che conosce il ciclismo. Non ho parole».

Stefano Garzelli: «Non ho parole, sono sconvolto. E’ ancora difficile da credere. Non voglio farmi idee... Non so quali fossero le sue condizioni di salute. L’ultima volta l’ho visto al Giro di quest’anno. Di lui leggevo sui giornali. Non so cosa possa essere successo. Certo ha dovuto sopportare moltissime pressioni, anche da ambienti esterni al ciclismo. Era molto forte, ma anche molto sensibile e si rifugiava in cose che non doveva fare. Le pressioni alle quali è stato sottoposto sarebbero state difficili da digerire per un normale, figuriamoci per un atleta. Ricordo il passato insieme. Del presente so che si era isolato abbastanza. nessuno sapeva molto di lui. Di sicuro Pantani lascia un segno: una vita alla Coppi: grandi imprese, una fine tragica. Marco era il più amato, anche quando era già molto tempo che non vinceva più. Da 40 anni si ricorda Coppi, tra 40 anni si parlerà ancora di Marco».

Giuseppe Martinelli: «Per chi gli ha voluto veramente bene c’é una sola parola: tragedia. Non riesco a pensare a niente. per me è un dramma. Ha fatto emozionare e piangere tutti, anche stavolta. Lo definivo "fenomeno" e non si è smentito. Sicuramente qualcuno non gli voleva bene. E qualcun’altro gliene ha voluto troppo. Non sbagliate a parlarne. Era un gigante».

(14/02/2004)

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